Il volume “Hikikomori: un’emergenza educativa?”
è un testo di Corradina Triberio,
pedagogista specializzata in pedagogia clinica, sorge dalla forte
predilezione dell'autrice per il fenomeno giapponese dell'Hikikomori
che, negli ultimi tempi, si sta
diffondendo sempre di più anche in Occidente. L'analisi dell’autrice si
staglia in un filone prima d'ora poco esplorato nelle scienze
pedagogiche e che trova, invece, già riscontro in discipline quali la
psichiatria, la medicina e l'antropologia.
In giapponese
il termine Hikikomori (引きこもり), coniato dallo psichiatra Tamaki Saito,
sta a significare letteralmente “stare in disparte” (dai verbi hiku
“tirare” e komoru “ritirarsi”) e potremmo definirlo in italiano al
meglio col termine “autoreclusione”.
Negli anni ottanta
dello scorso secolo, lo psichiatra sopracitato individuò in terra
nipponica un numero crescente di casi di adolescenti che “tagliavano”
tutte le comunicazioni con il mondo sociale per ritirarsi in lunghi
periodi di auto-reclusione all'interno delle loro camere. Il criterio
diagnostico che Saito diede per la definizione dello status della
malattia fu un periodo minimo di auto-reclusione della durata di almeno
sei mesi. Ciononostante, ci si è resi conto, in seguito, che il periodo
di confino può protrarsi anche per svariati anni, giungendo alla piena
alienazione degli individui dalla realtà. Malgrado l'autoreclusione, con
l'avvento dei nuovi media, o media digitali, cioè di quei mezzi di
comunicazione di massa sorti nell'era dell'informatica, i soggetti
affetti da Hikikomori sperimentano vie alternative per relazionarsi con
l’esterno, lungi dall'essere face-to-face, interfacciandosi con chat,
con e-mail, con le realtà dei blog, dei forum e dei social network.
Sapientemente,
per gli scopi relativi alla stesura dell'elaborato, la pedagogista ha
dato spazio alla letteratura già in stampa, offrendo un proprio
contributo di impianto pedagogico al problema di estrema rilevanza che, a
parer suo, si profila come una nuova emergenza educativa.